Qualche giorno fa è uscito su Inside Higher Ed un articolo firmato da Nadya Williams, una storica della University of West Georgia. L’articolo si intitola “A chi interessa del carattere?”, dove “carattere” sta per le qualità intellettive e soprattutto morali che contraddistinguono una persona. Nel contributo si parla soprattutto di una persona, ovvero di un professore di latino licenziato da Princeton che negli ultimi anni è stato protagonista di alcuni episodi controversi. Uno di questi episodi riguarda accuse di sexual harassment da parte di studenti, ma il professore in questione era stato al centro di controversie anche per aver pubblicato un articolo in cui denunciava quello che a suo avviso era il clima intimidatorio instauratosi all’università in seguito alle tensioni che riguardavano il conflitto razziale nella società e nelle istituzioni americane. Le domande che si pone Nadya Williams riguardano le conseguenze più ampie che può avere un evento del genere, ovvero il licenziamento di un accademico.
La prima domanda riguarda la visibilità della persona in questione, una persona che, è bene sottolinearlo, secondo la commentatrice è stata licenziata perché l’istituzione in cui lavora si è assunta, in ultima istanza la responsabilità di giudicarne il “carattere”. Poiché il professore in questione ha scritto un articolo per una rivista online (Antigone), Nadya Williams si chiede se sia giusto dare una tribuna per esprimersi a chi è stato trovato colpevole di atti illeciti, soprattutto se si tratta di atti che colpiscono la dignità della persona. Porre questa domanda, sempre secondo la Williams, significa al tempo stesso constatare una profonda divisione nella società americana, dove paradossalmente sono i liberali ad affrontare il nodo spinoso del “giudizio del carattere”. I conservatori, invece, che fanno dell'”etica della virtù” (virtue ethics) uno dei loro vessilli, sembrano poco inclini ad assumersi questa responsabilità. La risposta che la Williams dà è radicale. Chi si macchia di questo genere di atti non fa un danno soltanto alle sue vittime ma fa un danno alla società nel suo insieme. È quindi la società nel suo insieme (nel caso specifico, evidentemente la comunità accademica in senso più ampio) che deve rivendicare il proprio potere di giudicare chi ha un “carattere” non integro dal punto di vista morale. Questo potere è il potere di “cancellare” la persona in questione.
As the calls to cancel known abusers and harassers increase, it is time to make character judgments openly and celebrate decency of character
Cosa significa, però, “cancellare” una persona, soprattutto se si parla di studioso? Su questo punto, credo, i lettori dell’articolo si trovano di fronte a un esempio piuttosto sconcertante.
It is time for us to unite in thinking as a democracy about character and recognize that such abuses of power affect more than just the immediate victims. A parallel case that comes to mind is that of arguably the most famous thinker of the classical Athenian democracy—Socrates. Socrates’s flawed character, despite his superb teaching and scholarship, was ultimately his undoing in the Athenian context.
Il professore (beh, ormai ex professore) di Princeton viene equiparato a Socrate, con l’implicito sottotesto che la comunità accademica deve reagire esattamente come l’Atene degli anni a cavallo fra V e IV sec. a.C. È proprio su questo che diventa complesso seguire in tutto e per tutto il ragionamento che viene proposto. Secondo la Williams, il “carattere” di Socrate aveva due gravi pecche. La prima è che nel farsi vicino ai suoi giovani allievi finiva per avvicinarsi un po’ troppo, visto che “andò a letto almeno con uno di loro, Alcibiade”. La seconda macchia risiede proprio nella scelta dei suoi allievi, visto che alcuni di loro finirono per rovesciare la democrazia negli ultimi anni del V sec. Fu proprio la democrazia restaurata che decise di giudicare una volta per tutte Socrate e il suo “carattere” condannandolo a morte.
Si tratta di un accostamento che lascia perplessi. Prima di tutto, evocare una vicenda conclusasi con un’esecuzione capitale desta in chiunque un certo disagio. Verrebbe poi da chiedersi: Alcibiade – l’unico caso sicuro di seduzione da parte di Socrate citato dalla Williams – come avrebbe giudicato la cosa? Nel Simposio Platone presenta un Alcibiade profondamente indispettito dal fatto che Socrate non gli desse proprio quelle attenzioni che andavano al di là della pura pratica filosofica. Tra l’altro, prpoprio qui c’è un altro punto che desta perplessità. Di Socrate ci parlano molti autori ateniesi come Aristofane, Platone e Senofonte. Proprio a loro si deve il fatto che la figura del filosofo non sia scomparsa dalla memoria storica né dei contemporanei né a generazioni e generazioni di lettori dopo di loro. Il giudizio sul “carattere” di Socrate, ammesso che sia stato solo quello che la Williams ritiene, non ha certo comportato mai il divieto di parlare di Socrate ad Atene. Tutto l’opposto, evidentemente. Il che ci riporta al disagio iniziale: se accostiamo il professore di Princeton a Socrate, l’unico punto in comune che le due vicende hanno è un’idea generica di condanna del trasgressore della morale. Entrambi sono stati puniti, ma di sicuro Socrate è la figura sbagliata da utilizzare se si vuole stabilire il principio che bisogni “cancellare” chiunque abbia un “carattere” pesantemente viziato dal punto di vista etico. Che questo articolo poi sia stato postato sul blog della Society for Classical Studies (l’associazione professionale degli studiosi di storia e letteratura greca e romana), lascia ancora più perplessi.
Non si tratta, naturalmente, di difendere le ragioni di un aggressore. Piuttosto, si tratta di fare molta attenzione nel reclamare un principio di punibilità totale dell’individuo, anche nel caso in cui si tratti di contributi di valore scientifico.