Un articolo scritto da Kevin Carey per Vox parla di un problema che riguarda da vicino l’Italia: il calo demografico e l’impatto che incomincia ad avere sulla macchina della formazione a tutti i livelli. Carey parla degli Stati Uniti, dove a partire da quattro anni a questa parte si preannuncia un netto calo delle iscrizioni nei college, un calo che rappresenta un effetto della grande crisi degli anni Duemila (ma non solo).

Negli Stati Uniti si sta già configurando un’evoluzione a due velocità. Da un lato ci sono le grandi università di élite, che tradizionalmente assorbono meno studenti di quanti aspirerebbero a iscriversi: per loro i prossimi anni non saranno particolarmente difficili. Dall’altro lato però ci sono i piccoli college privati (ad esempio in New England), che invece hanno già iniziato a subito un calo delle iscrizioni e quindi del loro budget di funzionamento.

E in Italia? Le nostre tendenza demografiche sono probabilmente peggiori di quelle di cui parla Carey per gli Stati Uniti. In qualche quartiere della formazione si riflette ormai sugli effetti del calo da qualche tempo. Il Ministero dell’Istruzione ha già cominciato a dare segnali che la linea da adottare sarà quella di ridurre il corpo docente delle scuole primarie e secondarie. Non sembra che ci sia intenzione di pensare a strade alternative, una delle quali sarebbe quella di pensare a classi meno numerose.

Per l’università il quadro sembra piuttosto complesso da leggere. Sicuramente i numeri sono già in calo (lo registra l’ultima rilevazione dello scorso dicembre). Resta da vedere quali saranno gli effetti, che andranno misurati anche con un parametro sempre più importante per il finanziamento degli atenei da parte dello Stato: il calcolo del costo standard.